12 Apr2013
La fine dell'uguaglianza
"La fine dell'uguaglianza", secondo Vittorio Emanuele Parsi, ospite l'11 aprile della Scuola di Politica ed Economia dove ha presentato il suo ultimo libro.
L'uguaglianza è il presupposto della democrazia. Ma ciò che presumiamo ovvio è in realtà acquisito relativamente di recente.
In passato (dalla Grecia di Pericle alla rivoluzione Francese), si intendeva liberi perché uguali, nel senso di uguali tra privilegiati cui si applica una legge privata.
Con la modernità tutti sono privilegiati da una legge uguale per tutti.
La grande svolta avviene con la Dichiarazione di Indipendenza delle colonie americane del 1776.
"Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono stati creati uguali; che essi sono stati dotati dal Creatore di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati (...)"
Ma questo principio non avrebbe mai spiccato il volo, non sarebbe mai diventato universale, senza la spinta del mercato.
Negli stessi anni in cui esso si affermava infatti, la rivoluzione industriale spalancava mercati e consumi a cittadini non più sudditi.
Mercato e uguaglianza non sono in contrapposizione, ma si pongono come reciproci nella loro funzione di regolarsi vicendevolmente. Senza mercato non vi è competizione, innovazione e sviluppo, senza uguaglianza (democrazia) non vi à redistribuzione della ricchezza poiché il mercato lasciato a se stesso tende a polarizzarla nelle mani di pochi.
L'Italia vive una modernità peculiare, priva di Stato cioè o con uno Stato debole. Una modernità con molta politica e poco Stato (Gali della Loggia). Una modernità sottomessa alla società costretta ad accogliere ed incorporare tutte le vischiosità, i ritardi, le paure e le contraddizioni della sfera sociale. Ed ecco allora la modernità italiana diventare corporativismo, familismo, evasione fiscale, illegalità di massa. Creando una statalismo nelle forme e nella burocrazia senza però uno Stato. Il risultato è che si costruisce una economia della rendita in sostituzione di una economia di mercato.
E la stessa società italiana, che in quello Stato si rispecchia e in quel mercato cerca di trarre le risorse per edificarsi, è altrettanto debole, divisa in cerchie di interessi e conventicole di potere, nell'esaltazione del localismo e delle tradizione, ridotta il più delle volte in folclore, sempre ossequiosa, bigotta, cerimoniosa e conformista, eppure anarchica, individualista, e senza legge.
Ora si denunciano le malefatte dei politici, piuttosto che chiederci come mai la legalità per anni sia stata sostituita dalla volgarità, ovvero la società si sia prestata ad un rapporto di complicità con la classe politica, mentre per decenni veniva semplicemente rimossa l'idea di patria.
La crisi del '29 mette in discussione il principio di uguaglianza poiché essa è stata determinata dalla concentrazione della ricchezza in poche mani. E Roosvelt con il New Deal persegue l'obiettivo di salvare il Capitalismo dai capitalisti senza scrupoli.
Questa preoccupazione mira a equilibrare gli eccessi del capitalismo per garantire la pace sociale attraverso la redistribuzione della ricchezza (si veda la funzione delle tasse di successione e la loro entità nell'America dalla Grande depressione a Reagan)
La società dell'uguaglianza trionfava negli Stati Uniti appunto dal New Deal alla Great Society di Lyndon Jhonson e si basava sulla condivisione diffusa e accettata su quali livelli di diseguaglianza dovessero essere considerati indecenti.
E l'epoca felice di Happy Days, dove la Middle Class era la grande "pancia" del consenso politico e la spina dorsale della società. Non una società senza classi, ma una società dove le barriere di classe non sono insuperabili. Dove si vedono gli stessi film, si vestono gli stessi blue jeans e si desidera la stessa casetta bianca di legno con due macchine nel garage.
La sperequazione delle ricchezza veniva percepita dalla classe dirigente che aveva vissuto ila grande depressione, come foriera di conflittualità e divisione sociale che avrebbero minacciato l'esistenza stessa dell'America.
"Nessuno di noi poteva prosperare a meno che il benessere non fosse ampiamente condiviso" ( R. Reich) :
(La sperequazione dei guadagni tra l'amministratore delegato e l'ultimo degli uscieri nelle principali company americane, fino agli anni '70 era di 40\1, oggi è di 400\1.
Tutto cambia dagli inizi degli anni ottanta.
Nel suo discorso di insediamento, Reagan nel 1982 disse che "(...) nella crisi attuale lo Stato non è la soluzione al nostro problema; è esso stesso il problema".
Dalla metà degli anni '80 il tandem Reagan - Thatcher ha imposto al mondo occidentale uno Stato minimo, il meno possibile pesante, costoso e intrusivo rispetto al naturale gioco degli interessi e al formarsi di un equilibrio spontaneo e naturale tra domanda e offerta grazie ai meccanismi omeostatici del mercato.
Come osserva Stiglitz, a trent'anni di distanza l'obiettivo non si è minimamente raggiunto.
La libertà del mercato e diventata presto la dittatura del mercato. (Turbo capitalismo di Luttwak)
Il mercato è un ottimo allocatore delle risorse, un efficiente principio di organizzazione della produzione, ma un pessimo gestore della redistribuzione: ovvero è un moltiplicatore di disuguaglianza.
Negli anni precedenti la crisi del 2008, la distribuzione della ricchezza si era talmente polarizzata da spingere gli americani del ceto medio verso il basso della piramide, mentre i redditi si andavano concentrando verso la cuspide. Lo stato e l'ideologia " Reaganiana", ha ragionato : "non è il reddito che conta, ma i consumi. Se in qualche modo i consumi della classe media reggono, forse questa presterà meno attenzione alla crescente diseguaglianza". Il credito facile è stata la risposta americana alla crescita della diseguaglianza. E siamo arrivati alla bolla immobiliare.
Come uscirne? La ricetta del Professor Parsi, non è miracolistica, è tutto nelle nostre mani. Attraverso una dura fatica e un lungo lavoro (questa crisi ha già sei anni!) dobbiamo riportare il pendolo dalla parte dell'uguaglianza.
Il capitalismo è un sistema fatto di mercato e di diritti di proprietà. E' questo lo specifico occidentale: l'aver messo a guardia del sistema di diritti di proprietà la democrazia, ovvero l'evoluzione più raffinata, inclusiva, stabile, dello Stato di diritto.